The House that Jack Built

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Ci è voluto film di compare Von Trier per farmi tornare la voglia di scrivere qualche puttanata sul blog.

Nonostante negli ultimi mesi sia successo di tutto nel mondo, non riuscivo a trovar le parole per descrivere la miseria e decadenza contemporanea. Non che siano avvenute solo cose orrende, anzi. Ad esempio si sono verificati tanti eventi positivi, come l’esplosione di una pandemia.

Ci voleva un cazzo di virus per rendere tangibile alla maggior parte degli esseri umani quanto precaria sia l’esistenza umana. Ecco cosa succede quando invece di leggere Schopenhauer, vai alla Feltrinelli e ti compri libri scritti da Influencer.

Ma torniamo da compare Von Trier.

L’ultima sua fatica “The House that Jack Built” (2018) ha suscitato polemiche incredibili. Alla sua presentazione al festiva di Cannes molti spettatori hanno contestato il regista e abbandonato la sala durante la proiezione del Film. La critica si è divisa, chi lo ha definito uno dei migliori film di sempre, chi lo ha etichettato come un’opera del tutto deleteria e priva di senso. La distribuzione è avvenuta con il conta gocce e spesso fortemente censurata. Insomma cose che accadono regolarmente quando compare Von Trier fa un film. In passato è avvenuto lo stesso con “Idiots”, “Antichrist” e “Nyphomaniac”

A dir la verità mi sono avvicinato a questo film senza grandi aspettative, avendo letto pochissimo a riguardo e dato giusto un’occhiata veloce al trailer.

Beh, che dire. Ne ho visto di roba allucinante ma l’ultima fatica di compare Von Trier è pura violenza psicologica oltre che visiva.

Jack (Matt Dillon) è un architetto psicopatico con manie ossessivo- compulsive. In poche parole, oltre a non aver un briciolo di empatia ed essere un sadico, fa della perfezione e della pulizia una religione. Jack ha anche un’intelligenza fuori dal normale e soprattutto un grande sogno: realizzare la casa perfetta.

Questo sogno e le sue tendenze sadiche lo condurranno verso un delirio narcisistico psicopatico che sboccerà in una serie di omicidi brutali.

Jack disegnerà, inconsapevolmente, la sua discesa verso l’inferno. Un percorso da “Divina Commedia” scandito da dialoghi con Virigilio (Bruno Ganz), che nelle vesti dello psichiatra/uomo di scienza si antepone alla furia istintiva di Jack.

 

Von Trier ci ha abituati con i suoi film a scoprire la psicopatologia. Con Antichrist e Melancholia ci ha portati nei meandri della depressione, Nymphomeniac ci ha illustrato alla perfezione il disturbo relazionale e i tratti Borderline. Con “The House that Jack built” scopriamo la psicopatia e il narcisismo. Ma come in ogni suo film, Von Trier pone alla base una filosofia prettamente esistenzialista e nichilista.

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La psicopatologia diviene, cosi, solo un “pretesto” per esplorare l’esistenza umana in una modalità razionale e a tratti più rassicurante, che permette allo spettatore di non perdersi nel viaggio esistenziale. Se Jack in fatti da una parte è il classico psicopatico da manuale, dall’altra si dimostra una persona in grado di comprendere e spiegare al meglio il lato malvagio dell’uomo. Un lato che ha un suo fascino e una sua necessità di esistere, dotato anche un senso estetico e artistico.

L’atto di uccidere e la violenza sono, per Jack, atti non fini a sé stessi ma forme d’arte. Per commettere un omicidio e un genocidio è necessaria una dettagliata pianificazione, scelta dello strumento (arma), del luogo, oltre che un talento nella capacità di lavorare il “materiale/corpo”.

Il male ha un suo significato intrinseco, che non deve essere sminuito né tantomeno a priori censurato. Il male appartiene al genere umano, lo caratterizza e a volte lo esalta.

La riflessione di Von Trier va però oltre Il presente e l’immediatezza dell’atto e guardando alle sue possibili conseguenze. Attraverso la metafora della Divina Commedia pone il dilemma dell’inferno o di una presunta punizione. Un entità che non perdona e incute timore e paura anche al più freddo degli esseri umani.

Von Trier tocca, con questo film, vette altissime a livello cinematografico. La sua costruzione si rifà solo minimamente alle regole del Dogma e sfrutta linguaggi visivi e linguistici diversi. Ancora una volta il regista danese riesce a scioccare lo spettatore, ponendogli domande scomode e forzandolo a esplorare temi sgradevoli. Se i film di Von Trier sono spesso criticati, è perché  colmi di riferimenti filosofici e psico-sociologici che richiedono delle basi per poter essere colti e naturalmente comprendere al meglio il messaggio del film. The House that Jack built è permeato dalla filosofia esistenzialista perlopiù di matrice nietzschiana (a differenza di Nymphomaniac che si basava, sì su una matrice esistenzialista ma di stampo Kirkegardiano). I riferimenti alla teoria del super uomo, son o evidenti. L’essere umano per raggiungere la sua consacrazione deve rigettare ogni morale, innalzarsi a Dio, divenirlo, quindi creare e distruggere o distruggere per creare. Non esiste alcun ostacolo per raggiungere proprie aspirazioni, proprio come Jack che privo di ogni morale è disposto a tutto per portare a termine la sua opera.

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The House that Jack built non è un film per tutti, sia per I contenuti violenti al limite del sopportabile ma anche per i suoi contenuti complessi. Le conversazioni tra Jack e Virgilio, percorrono temi morali ed etici approfondendoli sotto una prospettiva filosofica e umanistica. Sia avverte spesso la sensazione di assistere a un dibattito universitario tra docenti.

La costruzione del film si regge su schemi (capitoli) serrati, offrendo anche una notevole suspense sadica. Il neo è forse rappresentato dagli ultimi 20/25 minuti, intrisi di richiami fortissimi alla Divina Commedia che sembrano a tratti stonare con la struttura precedente. Si ha quasi l’impressione che Von Trier non sia stato -ancora una volta- in grado di contenere il suo ego o vena creativa, stra-fando come nel secondo capitolo di Nymphomaniac. Ma lui è così, prendere o lasciare. Il cast è a dir poco eccezionale e più che citare una brava Uma Thurman andrebbe messa in evidenza l’interpretazione di Matt Dillon che in un mondo normale avrebbe stravinto ogni tipo di premio

 

 

Mehr übermenschen statt Influencer!

 

 

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